martedì 5 giugno 2012

Sardegna, Toscana e le prospettive durogranicole


Qualche giorno fa un amico sardo mi ha postato un articolo sulle strategie di rilancio del grano duro nella Regione Sardegna. Successivamente mi è capitato sottomano un altro articolo sul grano duro, relativo alla Toscana.
Vi propongo alcuni estratti per capire che aria tira nelle altre Regioni: i primi due riguardano la vicenda Sarda, il terzo quella Toscana.




Il primo articolo integrale qui e di seguito un estratto: 
CAGLIARI - Un piano per il rilancio del grano duro in Sardegna. L'iniziativa parte dall'Assessorato regionale dell'Agricoltura: pronto un bando, in tandem con l'Agenzia regionale per il sostegno all'agricoltura (Argea) rivolto agli operatori del comparto, dagli agricoltori ai trasformatori, dai mugnai ai panificatori. L'obiettivo è aumentare le aree destinate alla coltivazione del cereale attraverso un prezzo minimo garantito per il prodotto (dovrebbe aggirarsi intorno ai 25 euro a quintale) e premi sulla qualità. 
Dieci anni fa gli ettari dedicati al grano duro erano 87 mila ma poi c'é stato un crollo che ha portato ai 24 mila ettari del 2011. Numeri in crescita nel 2012 anche grazie a una legge regionale che garantisce aiuti a chi investe nel settore: ora sono 40 mila gli ettari coltivati a grano duro.
Fra le condizioni generali del bando c'é anche quella che prevede premi per lo stoccaggio differenziato del prodotto per almeno ventimila quintali all'anno. Una formula che consenta di isolare ed elevare la qualità del grano.
L'intervento eroga un premio agli imprenditori agricoli o associati che coltivano grano duro e che aderiscono ad un accordo di almeno tre anni. Le zone storiche del grano duro in Sardegna? Principalmente Trexenta, Marmilla, Parteolla, Sinis, Anglona, e la Nurra.

Il secondo articolo integrale qui e di seguito un estratto: 
MANDAS. Sembrava solo una delle tante notizie in libertà diffuse per infondere un po’ di ottimismo, invece ora c’è la conferma: la Barilla, l’azienda multinazionale italiana del settore alimentare, leader mondiale del mercato della pasta, offrirà, a partire dalla prossima stagione agraria, una grossa ciambella di salvataggio alla stragrande maggioranza degli agricoltori della Trexenta e del Basso Sarcidano, oggi in gravissime difficoltà a causa della grave crisi economica. L’azienda parmense, fondata nel 1877, è intenzionata a far rinascere questo versante del granaio della grande Roma. A trattare con gli agricoltori del territorio è stato in prima persona Enrico Polverigiani responsabile Barilla della selezione del grano duro di qualità e del progetto agricoltura sostenibile. « La multinazionale – sottolinea Matteo Deidda, un agricoltore del paese – si è impegnata a pagare il grano duro a un minimo di 24 euro il quintale e ad anticiparci i costi di produzione attraverso la Spica (società di gestione del progetto di filiera agricola )»Così, in base all’accordo in via di definizione nei dettagli, la Barilla fornirà le sementi, i concimi, i diserbanti e gli antiparassitari oltre ai mezzi tecnici e alla consulenza di esperti agronomi. Saranno, anche, allestiti dei campi sperimentali dove sarà impiantata una nuova qualità di grano duro chiamata “Svevo” in grado di produrre fino a 40 quintali ad ettaro. Una resa, pertanto, maggiore del grano duro attualmente coltivato : il quadrato e il creso che produce tra i 27 e 33 quintali ad ettaro. La proposta finora ha convinto una trentina di agricoltori che possiedono poco più di un migliaio di ettari di terreno. I più entusiasti sono stati soprattutto i giovani. Si prevede però che entro l’estate aderiranno quasi tutti gli agricoltori. Il glutine del grano prodotto in Trexenta e Basso Sarcidano ha delle particolari caratteristiche organolettiche ed è soprattutto indicato per la pastificazione. Attualmente gli agricoltori del territorio nonostante l’ottima qualità del grano duro stentano a vendere il prodotto e il ricavato è di gran lunga inferiore da quello proposto dalla Barilla. Gli acquirenti sono principalmente il Consorzio agrario, il pastificio Cellino di Santa Giusta, il Consorzio dei cereali e i piccoli mulini. I sindaci del territorio caldeggiano l’accordo e seguono con particolare attenzione l’evolversi delle trattative: «Sono molto favorevole – dice Umberto Oppus, sindaco di Mandas e direttore generale dell’Anci Sardegna nonché esponente di punta dell’Udc – . L’accordo dà risposte ad un territorio che vive di grano».

 Il terzo articolo integrale qui e di seguito un estratto: 

Le cifre parlano chiaro e sono preoccupanti: in Toscana, negli ultimi dieci anni, si è perso una gran parte del territorio dedicato alla coltivazione del grano. Scendendo nei particolari, l'Istat informa che, se nel 2001 erano 130.000 gli ettari riservati alla produzione del grano duro, oggi sono ridotti a 75.000, e, se prima erano 34.000 per il grano tenero, oggi sono appena 14.000. Ma l'aspetto forse più allarmante è che questi terreni non vengono utilizzati per altre coltivazioni; in gran parte rimangono trascurati, abbandonati, incolti.

Le ragioni di questa grave situazione hanno radici profonde che possono essere condensate in una sola parola: concorrenza. Il grano toscano non è in grado di reggere la competizione non solo con altre nazioni, per natura vocate alla produzione di frumento, ma anche con alcune regioni del nostro Paese. Perché la morfologia del territorio toscano è nota: in gran parte è collinare, se non montuosa, con brevi e poco significative pianure. Un altro motivo di disagio proviene dalla struttura della maggior parte delle aziende agricole toscane: in genere si tratta di piccole imprese con pochi ettari di terreno; ne consegue che i costi di produzione sono più alti e dunque non concorrenziali. 



Allora non si può rimanere passivi di fronte alla triste prospettiva di non vedere più, poniamo nelle crete senesi, le rotonde colline addolcite dalla millenaria mano dell'uomo, ricoperte di quell'intenso verde pastello delle piantine che fanno capolino dal terreno dopo il gelo dell'inverno, che poi si trasformano in steli e spighe di un verde smeraldo nella primavera avanzata, per poi assumere quella malinconica tonalità di marrone chiaro quando, a giugno, viene il tempo della mietitura. 

«Stiamo lavorando, in accordo con la Regione Toscana, - continua il presidente Rossi(direttore di Toscana Cereali), - ad alcuni progetti che restituiscano competitività al nostro frumento. L'ipotesi, peraltro già collaudata in alcune realtà della regione, è quella di mettere in pratica la cosiddetta "filiera corta", nell'intento di ridurre quanto più possibile le spese di produzione e di gestione. In altre parole, l'obiettivo è quello di avvicinare, o meglio, di associare chi coltiva la terra e produce il grano a chi quel grano è in grado di trasformarlo in farina; e anche di unire il panificatore con i vari punti vendita».

Un sistema questo che, se ben organizzato, potrebbe eliminare l'intervento di qualsiasi intermediario e ridurrebbe i costi di trasporto, perché tutto il procedimento dovrebbe svolgersi in àmbito regionale. 
«Un altro nostro obiettivo è quello di eliminare dal processo produttivo qualsiasi sostanza chimica o anche di prodotti ogm - aggiunge il direttore -. Per citare un solo, ma significativo esempio, vorrei ricordare il "Pane del Mugello", un marchio presente anche in alcuni punti vendita Coop. Si tratta di una piccola realtà che impegna una decina di aziende per una superficie di circa 150 ettari. Il grano che si produce è il risultato di una coltivazione particolarmente attenta a non impiegare alcun prodotto chimico o di sintesi. Dopo la mietitura il grano viene conferito a un solo mulino che opera a Firenzuola. La molitura avviene nella maniera tradizionale con macine a pietra azionate dalle acque del vicino torrente. La farina viene poi consegnata a tre forni di Borgo San Lorenzo che provvedono alla panificazione, facendo lievitare l'impasto con il sistema della "pasta acida", una pratica usata dalle nostre nonne e prima ancora nei secoli dei secoli. Anche per riscaldare il forno, niente bruciatori, congegni meccanici o elettrici, ma più semplicemente, come si faceva fino dall'antichità, usando la legna, meglio se raccolta nei boschi limitrofi».
Questi provvedimenti che si stanno prendendo a livello regionale non potranno certo portare il pane o la pasta toscani a tornare improvvisamente competitivi. È inevitabile che il loro costo sarà leggermente superiore ad altri prodotti simili. Ma, diciamo la verità: non vale forse la pena pagare qualche centesimo in più per un cibo che dà la sicurezza di essere prodotto ponendo attenzione non solo alla salvaguardia dell'ambiente (acqua di torrente invece di energia elettrica, legna dei nostri boschi al posto del petrolio), ma anche con un occhio di riguardo alla nostra salute (niente prodotti chimici né ogm)?


Sarò ipercritico ma a me sembrano strade, già percorse e fallite almeno nel primo caso (in Sicilia la Barilla provò, più di una decina d'anni, la stessa strategia esauritasi nel nulla), velleitarie e stupidamente ideologizzate nel caso toscano. 
Ritengo che se queste sono le proposte reali (ma sono sicuro che dietro gli articoli di giornali sensazionalistici esistano realtà imprenditoriali più pragmatiche) sulle quali si intende costruire un futuro prospero per la durogranicoltura in queste due Regioni, la possibilità che il grano duro scompaia,  in pochi anni, da questi territori, o sia limitato alla nicchia, è molto concreta. 
Più o meno il tempo che si esaurisca l'intervento pubblico, che almeno in Sardegna sembra previsto, anche se non ben quantificato.
Alcune imprecisioni giornalistiche inoltre sono ridicole...lo Svevo sarebbe una nuova varietà!? Ed altre perle sparse qui e là.

Infine il grano in Sardegna, almeno a leggere i rilevamenti ISMEA, viene regolarmente quotato a prezzi di mercato ben più elevati di quelli siciliani, ma soprattutto di quelli offerti da Barilla, che a leggere l'articolo appare una sorta di associazione filantropica, mentre per come la vedo io, sta organizzando una specie di paccotto agli ingenui amici sardi. 

7 commenti:

  1. Curiosità: leggendo la proposta fatta dalla Barilla in Sardegna sembra molto allettante e vantaggiosa, come mai il tuo scetticismo Granduro? In fin dei conti è vero che la Barilla offre un prezzo leggermente più basso del mercato, ma se offrono gratis seme, fertilizzanti e diserbanti, alla fine il coltivatore non andrebbe a guadagnarci di più?

    RispondiElimina
  2. Neofita
    se leggi bene, non offre gratis, ma anticipa i costi colturali.
    Purtroppo nella situazione critica, in cui siamo molti agricoltori non hanno più i capitali necessari per approntare le spese colturali.
    Sono deboli e ricattabili. Così arrivano le grandi imprese, ti propongono i contratti di filiera, dove ti anticipano i costi di produzione imponendoti in rigidi disciplinari dosi, varietà e tipi di prodotto che convengono loro ed al prezzo che ti impongono.
    Lo Svevo, ad esempio, è una varietà sorpassata con potenziali produttivi nettamente inferiori alle recenti varietà.

    Alla fine, con il raccolto venduto ad un prezzo anche questo imposto, si fa una compensazione e scopri che in media ti rimane nulla poco o nulla.
    Questo è il mio pensiero.
    Organizzare la produzione con i propri capitali è fondamentale per mantenere dei margini.

    RispondiElimina
  3. Eh si ho letto "fischi per fiaschi"... pensavo pagasse ed invece è solo anticipazione dei costi colturali, effettivamente anche alla luce delle tue successive considerazioni la proposta della Barilla non sembra molto vantaggiosa, anzi....

    RispondiElimina
  4. Cosa dire,io è piu di qualche anno che produco con barilla,la varietà imposta è l aureo,varietà che si adatta molto bene al mio areale ( ed è veramente diverso dagli altri),con qualche accorgimento si comporta molto bene,nessuna imposizione di disciplinari,solo che non sia sotto i 14 di proteine,cosa che nel mio areale non è difficile ottenere,il prezzo garantito è di 30 E ivato,ma se sale di proteine il prezzo aumenta,invece se volessi coltivare lo svevo,esso mi verrebbe pagato +2E,sul buono mercantile di bologna-peccato che si alletti,poiche da noi è molto produttivo-
    se si lavora con i contratti di filiera,dopo qualche anno i costi di gestione si abbassano-
    i disciplinari?e dove sta scrittto che i miei campi si devono ammalare per forza di fusariosi?dove sta scritto che sui miei terreni si debba concimare in pre semina?
    le proteine?si possono fare anche con 100kg di azoto dato al momento giusto,io arrivo a 170-200,ma oltre alle proteine voglio anche quantità,e in più il mio areale essendo freddo ne richiede di più-
    il seme?lascio a voi commentare-
    Questi strumenti mi piacciono,perchè mi permettono di programmare le spese-tipo l azoto,kg170 di azoto costano tra i 170-200E,vuoi mettere comprarli sapendo di avere un minimo garantito,o comprarli con l ansia-che il grano possa scendere sotto ì 20 E-?

    RispondiElimina
  5. Mimmo, non mi pare che le condizioni che offrono a te, siano le stesse di quelle sarde. Credo si debba valutare contratto per contratto, e la vocazione del territorio. In alcuni ambienti soddisfare le richieste proteiche può essere semplice, in altri molto meno (mai visto grano al 14% in Sicilia, personalmente ad esempio).

    Io da quello che leggo anche in questo articolo e dai contratti che vedo proporre in Sicilia (non Barilla), penso che non ci sia nulla di particolarmente redditizio per gli agricoltori. Preferisco il mercato.
    Inoltre a parte te, non ho mai letto ancora alcun commento positivo verso di essi. Un motivo ci sarà.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io ho descrito solo le mie condizioni,vorrei tanto capire anche io del perchè di tanta differenza,è indubbio che con quelle condizioni non serve sottoscrivere un contratto,io stesso quest anno ne ho rifiutato uno del cada (che dovrebbe accompagnare il progetto coldiretti-conad)che garantiva un minimo di 24E,-
      SE si parte che bisogna rispettare il disciplinare,allora bisogna contare almeno 350-400E di esborso in più,tanto vale vendere il duilio a 22E il qt-ma nel mio areale facciamo come ci pare e i risultai sono soddisfacenti- e io aquisto solo una parte del seme,e tratto gli attacchi di fusariosi solo su areali umidi e freddi con zolfo bagnabile,questa operazione la eviterei solo con il duilio,per il resto tutto uguale,molto probabilmente la mia posizione geografica mi aiuta-alcuni miei colleghi su rotazione con sulla da fieno hanno fatto anche 17di proteine,su favino e pisello fai tranquillamente 15,su ceci devi stare attento all ultima azotificazione-in cambio il mio areale non è molto generoso in quantità,qui se un azienda mantiene la media di 40qtxht su 10 anni è al top-io sono leggermente sù,solo perchè fino a 5 anni fà coltivavo tabacco,ove ottenevo 60qtxht e meloni idem come resa,da quando non li coltivo più quelle rese non le ho viste più-

      Elimina
    2. Purtroppo la disperazione delle campagne porta ad attaccarsi a tutto: anche a credere a chi la pasta la vende a 200 - 250 € al quintale e riconosce alla materia prima 24 € (10%). Con questi numeri la cerealicoltura sarebbe già dovuta morire ma cosi ancora non è stato per la "disperazione, speranza, illusione", di chi sulla terra a versato lacrime e sangue e non vuole arrendersi neanche di fronte all'evidenza. Ah, maledetti sentimenti..... Sergio Ligas

      Elimina